Jul 15, 2009

Salviamo l'uccellino Zampagrossa! Con il laboratorio di tessitura della lana di Njabini


Dunque, si diceva in uno dei post precedenti che per dare una mano allo Sventurato Uccellino Zampagrossa ci sono varie idee che bollono nel pentolone. Questa è una delle più interessanti a cui sto lavorando con due organizzazioni ambientaliste Kenyane (Nature Kenya ed i Friends of Kinangop Plateau), ed il blog 10,000 Birds che collabora alla raccolta dei fondi.

Njabini, nel mezzo dell’altopiano di Kinangop, circa 60 km a nord di Nairobi, è una delle ultime roccaforti dello Sventurato. Trent’anni fa la zona era una sola immensa prateria alpina, ma in breve tempo è stata quasi completamente trasformata in campi di cavoli, che nella zona purtroppo crescono piuttosto bene.

Dato che nell’altopiano di Kinangop il territorio è interamente di suddiviso in migliaia di piccoli appezzamenti di proprietà di privati agricoltori, è evidente che per proteggere Zampagrossa occorre convincere i proprietari dei terreni a non convertirli in campi di cavoli, ossia bisogna proporgli un’alternativa di uso che sia economicamente valida e che salvi non capre e cavoli (non sia mai!) ma bensì pecore e Zampagrossa. Sono infatti proprio le pecore che stanno al centro di questa idea.

Le pecore sono animali pascolatori, e dunque vivono molto bene nelle praterie naturali. Fino a 20-30 anni fa infatti l’altopiano di Kinangop era quasi esclusivamente usato come pascolo per pecore e bovini. Le pecore venivano tosate e la lana venduta sul mercato. Purtroppo negli anni recenti il mercato della lana in Kenya è crollato a causa dell’invasione di prodotti di bassa qualità ma estremamamente economici provenienti dai mercati asiatici. Le pecore stanno quindi sparendo, e con loro i pascoli – che appunto ora vengono arati e coltivati nel tentativo di ottenere un maggiore profitto (tentativo abbastanza vano perché a quanto pare negli ultimi tempi è crollato anche il mercato dei cavoli).

L’idea del Laboratorio della Lana di Njabini è quella di comprare la lana di Kinangop pagandola un prezzo più alto di quello del mercato, e trasformarla in prodotti (filati colorati, borse, tappetini, indumenti) che possono essere commerciati con un margine di profitto interessante, in particolare vendendoli ai turisti stranieri. In questo modo, i proprietari dei terreni ricevono un incentivo economico a mantenere le proprie greggi, le praterie dove le pecore pascolano e soprattutto l’habitat naturale dello Sventurato Uccellino.

Il Laboratorio – nato da un’idea di Nature Kenya e dei Friends of Kinangop - ha iniziato le proprie attività nel 2005 ed al momento impiega una decina di persone, di cui tre a tempo pieno, le altre part-time (o meglio, quando c’è lavoro). La maggior parte dei lavoratori del laboratorio sono donne sposate e con prole.

Personalmente, credo che questa sia un’idea semplice e geniale. Commercio equo e solidale, prodotti naturali, salvaguardia di specie minacciate, formazione professionale, lavoro per fascie sociali svantaggiate – c’è tutto!

Purtroppo però c’è un problemino che rischia di mandare tutto all’aria: i prodotti del laboratorio stentano a trovare un mercato, per due ragioni principali. Da una parte i prodotti sono, diciamo così, un po’ rozzi, e non è che puoi andare nei più eleganti negozi di Nairobi a vendere tappetini spelacchiati e guanti mal cuciti, in quei negozi occorre avere roba di qualità. Dall’altra i lavoratori di Njabini come venditori sono una frana, il che peraltro è piuttosto logico perché se per tutta la vita hai coltivato cavoli e pascolato pecore, non è che da un giorno all’altro puoi diventare un piazzista fenomenale, noh? A questa situazione si aggiunge la crisi economica mondiale, che in Kenya sta mordendo peggio che in Italia (figuratevi un po’ che cosa significa!).

Occorre dunque dare una mano alla gente di Njabini, perché qui siamo sull’orlo del naufragio.

E veniamo al dunque: le mie proposte per correre in soccorso al Laboratorio di Njabini sono due:

1) MIGLIORARE LA QUALITA’ - occorre fornire ai tessitori di Njabini una formazione professionale specifica. Io di tessitura e filatura non so nulla e non posso insegnare niente, ma ho individuato una persona che lo può fare. Si chiama Janice, è un’Americana che vive in Kenya ed è un’artista della tessitura (cliccando qui potete vedere il suo sito). Janice ha incontrato la gente di Njabini insieme a me, e si è resa disponibile ad insegnare loro le tecniche necessarie per migliorare la qualità dei prodotti. La proposta che faccio è dunque di pagare a Janice dei rimborsi spese (600 Euro in tutto) che le permetteranno di andare a Njabini in media due volte al mese per sei mesi a tenere delle lezioni di filatura, colorazione della lana, tessitura, creazione di disegni e rifinitura dei prodotti
2) MARKETING PIU’ AGGRESSIVO – occorre una persona che si occupi a tempo pieno di smerciare i prodotti sul mercato. Per questo ruolo ho pensato a Sammy Bakari – un nome ben noto perché ha già ricevuto borse di studio da noi negli anni passati. Sammy è uno dei miei migliori assistenti di ricerca, vive a Kinangop, e conosce molto bene il laboratorio di Njabini, perché sua moglie Margaret ci lavora. Proporrei di pagare a Sammy un’altra borsa di studio (100 euro al mese per un anno = 1200 euro), con l’obiettivo preciso di occuparsi dello smercio dei prodotti, battendo in maniera sistematica tutti i possibili sbocchi commerciali (alberghi, negozi, centri commerciali, Musei, sedi di organizzazioni non governative, ingressi dei Parchi Nazionali). Il lavoro di Sammy, come al solito, sarà seguito personalmente da me – che per l’occasione mi trasformerò da Naturalista & Esploratore a Direttore Commerciale, non vedo l’ora!

TOTALE PROPOSTA 2009 PER IL LABORATORIO LANA: 1200+600 = 1800 EURO

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